Pubblicato in: èsololavita

Forward

C’era una volta…

No, in realtà in questa storia non c’è nessuna principessa, nessun vincitorevinto. C’è la storia di un trasloco, e di una ragazza che, per quanto possa innalzare muri altissimi, si affeziona anche ad oggetti non animati, come una casa appunto.

Questa è la storia di una ventiseienne, che firma un contratto di locazione piena di entusiasmo per un posto relativamente grande per gli standard di Milano per poterci riporre tutti i sogni e le proiezioni che il futuro possa regalarle. Questa è la storia di una ventisettenne, che inizia a crescere sul posto di lavoro e inizia a viaggiare un bel po’ tra un weekend lungo e giorni di ferie, consapevole di voler tornare, alla fine, sempre a casa, per rilassarsi sul divano, guardare un bel film e poi abbandonarsi tra le dolci braccia di Morfeo in quel letto così comodo. La ventottenne, invece, ha passato un brutto quarto d’ora, mettendo in discussione proprio tutto, ma veramente tutto, perfino la casa che la accoglieva ogni sera e ogni weekend. Forse, ciò che era in discussione era la casa stessa.

E poi è arrivata la ventinovenne, che ha passato gran parte del tempo in quella casa, perché costretta, perché fuori nel mondo si consumava una pandemia mondiale mischiata al terrore delle incertezze più buie. Soltanto in questa occasione è stato possibile per lei vedere l’albero di fronte casa riempirsi di foglie rigogliose verde smeraldo, per poi imbrunirsi e ricadere nell’autunno che ha fatto seguito. Balli, canti, urla disperate, allenamenti, risate, pianti e profumi culinari sono rimasti impregnati nelle mura della casa, assorbiti in un certo senso, rappresentando il caleidoscopio di sentimenti che ha caratterizzato il 2020 della ventinovenne che, ahimè, non è stato affatto facile.

‘Virginia Woolf’ ha iniziato a chiamarla il suo amico, poiché la ragazza aveva preso l’abitudine di affacciarsi alla finestra cercando di rubare quei piccoli stralci di vita che passavano lungo la sua via, descrivendoglieli in lunghe note audio, perché a quei tempi la vita, la sua, era immobile, silenziosa, scandita dai canti corali dal balcone alle 18 e dalla campana, che in molti sabato mattina è stata oggetto di maledizioni per quei sonni interrotti. La casa ha accolto anche regali portati da corrieri, fatti da amici lontani che sapevano esattamente quando fare breccia nel mio cuore, e quando avevo realmente bisogno di loro anche senza farglielo sapere.

Poi, in un giorno di autunno, la ventinovenne ha preso una decisione che, a detta di moltissime conoscenze, avrebbe dovuto concretizzare almeno l’anno precedente: lasciare casa. Proprio quella che l’aveva accolta e sostenuta, proprio quella che per un periodo era stata oggetto di odio e repulsione, per poi fare pace e conviverci insieme. Sebbene non ne fosse del tutto consapevole, la metamorfosi della ventinovenne era già incominciata qualche anno prima, arrivando alla consapevolezza di doversi scrollare di dosso tutto, ma proprio tutto per poter ripartire da zero, per poter resettare tutto ciò che credeva fosse la base solida di un futuro già scritto. Questa è stata una grande lezione per l’ormai trentenne, che ai tempi pensava di dover raggiungere chissà quale obiettivo di vita, senza aver capito che di imparare, di crescere ed evolversi, non c’è mai fine e soprattutto età.

Chi ha varcato la soglia di questa porta blindata color legno scuro era una ragazzina che non aveva ancora dovuto affrontare la vita a muso duro. Poi sono arrivati i calci, i pugni, valanghe di sconforto e l’eco della propria voce che rimbombava nella solitudine delle mura domestiche. Chi lascia questo luogo è ormai una donna, che ha fatto propri tutti gli insegnamenti, ben consapevole che la strada da percorrere è ancora lunga, con l’umiltà di realizzare che di imparare non si finisce mai.

Si dice che occorra fare qualche passo indietro per poter essere proiettati in avanti, come un arco teso prima di poter scoccare la freccia. La trentenne non vede l’ora di scoprirlo. Questa storia è ancora da scrivere.

Jessica

Pubblicato in: èsololavita, Terra mia, Wanderlust

L’estate sta finendo…

Si avvisano i signori viaggiatori che, a causa di un guasto tecnico, il treno viaggerà con un’ora di ritardo’

Iamm che cazz’ ‘Ma c sang ra maronn!’ ‘Cazzo, perdo la coincidenza!’

In questa atmosfera bucolica mi accingo a ritornare a Milano, tra cani che abbaiano come bestie di Satana, bambini che frignano, per non parlare della positività e gioia di vivere del mio vicino di posto.

Si concludono così le mie ferie. All’inizio pensavo di spendere troppi giorni giù, a casa, ma come ho scoperto ben presto, non sono mai abbastanza.

Io non so se saprei lasciar scorrere sulla tastiera le parole giuste per descrivere le emozioni provate, so solo che quando ho messo piede a Napoli centrale, ho pensato: ‘e adesso? Cosa faccio?’

Non ho mai avuto bisogno di darmi una risposta, perché mai avrei pensato che così tante persone mi stessero aspettando, in particolare la mia famiglia. Mai avrei pensato di essere in grado di mettere in pratica la filosofia partenopea, e di prendere le cose così come sarebbero venute.

In quest’ottica, ho fatto, visto, sentito e mangiato (soprattutto) più cose di quanto avrei mai sperimentato se fossi arrivata da Milano con un piano di battaglia scandito al minuto. E mi è piaciuto.

Non sono mancate parentesi spiacevoli, dei bolidi che mi sono ritrovata inaspettatamente dritto in faccia, da cui non sono stata in grado subito di ripararmi. Ma sapete cosa? Sarò un po’ strana, un po’ mistica, ma sono andata a vedere l’alba, ho ascoltato in silenzio le onde del mare, ed è come se avessi fatto pace con me, con i miei demoni, e avessi cacciato via l’ultima fetta del mostro che mi tormentava. E sono stata felice.

Ho accolto i sorrisi, e ne ho regalati tanti, sinceri, a chi lo meritava. Ho capito sempre più che devo evitare situazioni e persone che seguono un altro mantra partenopeo: ‘chi chiagn fott a chi ride’. Mi sono un po’ stufata di queste persone che di fronte a delle (passatemelo) cazzate non fanno altro che lamentarsi, e tu continui a sorridere nonostante il male, nonostante tutto. Ma questa è un’altra storia, magari la racconterò poi.

Nel frattempo, al marasma del treno, si è aggiunta una persona che russa pesantemente.

Torno a Milano, con la solita promessa di tornare a casa più spesso, ma già so che sarò inghiottita dalla metropoli e me ne dimenticherò. Quello che non posso dimenticare però , sono le promesse fatte, e non sono delle semplici parole dette tanto per. Sono dei nodi al cuore difficili da sciogliere, fatti con persone che, consce o meno, mi hanno salvata ogni giorno e continuano a farlo costantemente. E poi, se dei bambini ti dicono che sei dolce, che ti cercano appena si svegliano, che dicono che sei bella senza trucco e ti chiamano zia anche se ti hanno conosciuta cinque minuti prima, come fai a non scioglierti come neve al sole?

Mi arriva una nota audio. È il mio cuginetto, tre anni, che mi dice che sentirà la mia mancanza, e se ho cercato di tenere la corazza nel salutare mia cugina che ha fatto una corsa stamattina prima di andare a lavoro e con la quale ho condiviso questa vacanza, nel salutare la nonna, nel vedere il profilo delle mie montagne preferite andar via, non ce la faccio e le mie difese crollano.

Ma so già che c’è altrettanta gente che mi sta aspettando a Milano, e allora sorrido perché qualcosa di buono, se tutte queste persone mi vogliono bene, devo pur aver fatto.

Scrivi un libro‘ mi ha detto più di una persona. Ci sto pensando da un po’.

Jessica

Pubblicato in: èsololavita

There’s no place like home

Voi avete una casa? Dopo la consueta giornata di lavoro, dopo esservi fermati a fare due chiacchiere con amici e colleghi, tornate a casa?

Non fraintendetemi, per fortuna, e sottolineo per fortuna, tutte le persone che conosco hanno un tetto sulla testa, più o meno grande, con un letto alla francese o almeno un divano multiuso, un frigorifero e un congelatore discretamente pieni. Una doccia, i più fortunati una vasca. Insomma non ci si può lamentare.

Dorothy batteva i tacchi delle sue scarpette rosse e diceva ‘There’s no place like home’ e magicamente si ritrovava a casa. Se avessi questo dono, cambierei casa ogni volta. Rotolerei verso sud, abbraccerei più spesso quei volti che mi mancano tanto e farei dei luoghi non ancora visitati la mia casa per brevi periodi. Andrei a vedere il mare. Quella è la mia casa più bella.

Quello a cui mi riferisco io però, è il concetto di casa in senso lato. E’ quella sensazione di ritrovarsi nel posto giusto al momento giusto, quel luogo dove gettare tutto alle spalle e tirare un sospiro di sollievo. E’ lanciare le scarpe e infilare maglie comode perché arriva il momento di essere semplicemente sé stessi, senza filtri e senza maschere. E’ dove ballate e cantate, dove mangiate schifezze e imprecate contro la tv quando succede qualcosa di brutto. Casa può essere anche una persona, ma non è cosa da tutti. Sì, perché il concetto di casa può abbracciare diversi ambiti, può toccare diversi aspetti del nostro carattere, ma anche della nostra formazione in quanto esseri umani.

Mi sono sempre reputata fortunata per quanto riguarda la mia idea di casa. Ero giù a Napoli a casa dei miei, mi sono trasferita a Milano e non ero sola, avevo una casa in quanto tetto sulla testa e in quanto persona che mi faceva sentire a casa, rendendo meno traumatico il distacco dai miei affetti.

E poi, c’è stato il periodo in cui avevo sì un contratto di affitto, ma quella non era più casa mia. Era una dimora con un fantasma che non trovava pace per andare oltre, che la mattina non vedeva l’ora di scappare via e la sera faceva di tutto per ritardare il rientro. Casa può essere una benedizione, ma anche una condanna.

Pian piano, ho trovato la mia nuova casa, il mio nuovo posto nel mondo. Materialmente non è cambiato un granché. Ma è cambiato tutto proprio qui, nella mia testa. E’ cambiato il modo di affrontare la casa, di individuare le persone che ti fanno sentire a casa, e per qualcuno, spero di essere casa tanto quanto loro lo sono per me. Ora mi prendo in giro da sola, mi ripeto la scena di Selena, Catwoman, quando rientra a casa da sola e dice ‘Tesoro sono a casa! Ah, dimenticavo, non sono sposata…’

Catwoman Honey Im Home GIF - Catwoman HoneyImHome Batman GIFs

No, non sto dicendo che finirò gattara perché i gatti proprio non mi fanno impazzire, ma è giusto sapersi prendere non troppo sul serio, c’è già troppa pesantezza in giro.

Ora quella casa è di nuovo mia, la sento mia e mia soltanto. Mi piace far sentire a proprio agio chi si ferma da me ed estendere a loro la mia tranquillità ritrovata.

Sono padrona della mia casa. E sono padrona di me. Sono a casa.

Jessica