Oggi è un anno, un anno esatto, da quando in Italia si è scatenato un panico generale verso questa microscopica minaccia il cui solo nome faceva vibrare ogni centimetro delle nostre budella. È passato un anno da quando ‘positivo’ ha acquistato un’accezione negativa, e ‘negativo’ una positiva. Insomma, il mondo alla rovescia, dove quando conosci una persona passano sempre quei cinque secondi di imbarazzo per capire come ci si saluta – sporgo il gomito? Faccio un inchino come i lottatori di sumo prima di un incontro? Mostro il pugnetto al dirigente di ‘sto cazzo come fossimo due del bronx? –
Un anno intero, un giro completo intorno al sole, per ritrovarci quasi nuovamente nella stessa situazione, con maggiori insicurezze e, se possibile, con maggiori paure. I legami sociali si sono ridotti all’osso se non addirittura inesistenti ormai. Facciamo fatica ad incontrare i nostri più cari amici, figuriamoci sorridere a qualcuno. Ma poi, sorridere come? E dove soprattutto? Sono tante le cose di cui sento la mancanza.
Mi manca quell’aroma diffuso di distillati nei bar, quello scambio di sguardi languidi misti a timidezza da primo appuntamento, quando guardandoti intorno inizi a spiare i vicini di tavolo e ad immaginare scenari verosimili sulle loro avventure.
Mi manca il ‘a che ora stacchi? Andiamo a fare aperitivo? Ti devo raccontare della stronza della mia collega.’
Mi manca la stanchezza che precede l’ingresso in palestra, per poi sentirmi meglio una volta uscita da lì.
Mi manca organizzare le cene a casa che finivano con i giochi da tavola oppure a ridere come dei cretini per i motivi più disparati.
Mi manca non avere la libertà di prendere un treno per scappare dalla città anche solo per un weekend.
Mi è mancato non poter festeggiare il mio compleanno con tutti i miei amici.
Mi mancano i miei nipotini, che vedo crescere dallo schermo di un telefono, mentre il più piccolo ha spento una candelina e io non c’ero.
Sono tante, tantissime le cose che mi mancano, per non parlare delle persone. Ma questo non vuol dire che mi debba sentire in dovere di trasgredire le regole, di non guardare chi è messo peggio di me (fidatevi, le storie sono talmente tante, complesse e articolate che finireste col reputarvi addirittura fortunati).
Eppure c’è chi (guarda un po’) è stanco di vivere tutto questo, chi si sente privato della propria libertà, che si sta perdendo gli anni migliori… beh, non li stiamo perdendo forse tutti? Non siamo tutti stufi, stanchi, demotivati, spenti? Sì, lo siamo proprio tutti senza esclusione di colpi. Ma non tutti decidono di comportarsi come coglioni solo perché sentono delle mancanze. Le abbiamo tutti.
È da un anno che abbiamo bisogno di terapia, di abbracci, di non diffidenza verso il prossimo se solo questi si avvicina un po’ troppo.
Oggi si commemora la lotta per l’indipendenza femminile, meglio conosciuta come festa della donna. Ma in Italia oggi si commemora anche un anno dall’inizio di questo limbo che vede sempre alti e bassi, più bassi che alti. Mi ricordo benissimo dove mi trovavo un anno fa, la paura di quando per la prima volta si parlava di ‘chiudere’ la Lombardia, di ospedali al collasso e di smartworking forzato. Mentre tutti offrivano le proprie demagogie sui social. Mentre tutti scappavano dal nord verso il sud, ignari (in parte) del potenziale pericolo che si portavano dietro.
Era la festa della donna, era un anno fa. Oggi, a distanza di 365 giorni, non è cambiato un cazzo. E la responsabilità è un po’ di tutti, un po’ di nessuno. Mi ricordo ancora quell’arcobaleno con scritto ‘andrà tutto bene’, converrete con me che alla fine è andato tutto a puttane e che ci odiamo tutti un po’ in più.
Jessica