Pubblicato in: èsololavita

Quarantena

Nei giorni in cui mi chiedo da quando e per quale motivo Codogno sia diventato il centro del mondo, tutta l’Italia ne subisce le conseguenze. Anche Milano. E di riflesso, anche io.

Dopo una prima fase in cui ho seguito costantemente gli aggiornamenti attraverso notiziari e testate giornalistiche, mi sono resa conto che più che riportare fatti di cronaca, si continuava ad assistere ad un vera e propria campagna di terrorismo psicologico. A quanto pare, la suddetta campagna ha sortito gli effetti auspicati, poiché mai avrei pensato di vivere un momento storico del genere. Ricordo nelle ultime settimane quando parlavo con i miei amici e, tra il serio e il faceto, facevamo l’elenco di tutti i disastri che si sono susseguiti dal 1 gennaio… eppure mi piacciono gli anni pari, ma non fanno altro che ripetere ‘anno bisesto, anno funesto’.

Quello che i giornali dicono è che le borse cercano di reagire come meglio possono, ma che tuttavia ciò si ripercuoterà nell’economia a lungo termine, almeno per i prossimi mesi. I giornali spiegano come lavare le mani, come starnutire e tossire, perché a quanto pare questo non era chiaro a tutti già dall’alba dei tempi, e ne sono stata molto spesso testimone inconsapevole, specie sui mezzi pubblici. I giornali dicono che i supermercati vengono svuotati in maniera convulsa, che non si trovano più in giro mascherine né gel disinfettanti. I giornali ti spiattellano in faccia quanto sia cattivo l’uomo, che crede di potersi sentire legittimato a perpetrare atti di razzismo e di egoismo davanti a chiunque incroci il proprio cammino. I giornali raccomandano di evitare luoghi affollati, che le palestre, i cinema e altri luoghi di aggregazione sono chiusi a scopo precauzionale. I giornali dicono che, a discapito di quanto si credesse, a Milano si riesce a lavorare anche da casa, che lo smart working funziona, e pure bene.

Quello che i giornali non dicono, però, è che lo smart working, quando non sei tu a sceglierlo, può risultare pesante. Esattamente da un mese, anche i nostri capi ci hanno concesso di lavorare da casa, prevedendo turni razionali, da usare con parsimonia e responsabilità. E funzionava, funzionava davvero bene. Vuoi mettere che la mattina posticipi la sveglia di un’ora, volendo potresti anche lavorare in pigiama, a letto, con la tv accesa o la tua musica preferita in sottofondo, senza che qualcuno ti dia fastidio o ti faccia perdere la concentrazione? “Figata!”. Un conto, però, è poter scegliere ciò che vuoi fare. Altra cosa è quando si è obbligati e ci viene imposto dall’esterno, senza poter porre obiezione alcuna. In momenti del genere, mi rendo conto che siamo costretti a fare i conti con la nostra arcinemica: la solitudine.

Per quanto Milano possa essere una città poliedrica, piena di eventi, piena di persone, che fanno business, che fanno sistema, credo che sia una delle città dove la solitudine può uccidere peggio di un virus. Milano è uno dei comuni più densamente popolati, sogno di tantissimi giovani che non vedono l’ora di fuggire dal paesello e crearsi un nome, una posizione, dar voce al proprio modo di essere senza accusare l’ombra del giudizio. E’ vero, a Milano puoi andare in giro vestito come ti pare, puoi anche urlare all’improvviso per strada senza che nessuno ci dia troppo peso, perché scene del genere possono essere all’ordine del giorno se la città metropolitana ti inghiotte. Puoi scoppiare in lacrime in metro, senza che nessuno si avvicini per un po’ di conforto, o semplicemente per discrezione. Insomma, ci sono mille motivi per amare Milano, altrettanti per odiarla quando accanto a te si siede la tua nemesi. La solitudine è una componente della mia vita che ultimamente ho richiesto spesso, per staccarmi dalle troppe persone, dai loro caratteri che sono troppo, e avevo bisogno di lei a fine giornata per ricercare quel rifugio personale, solo mio.

In qualche post fa avevo scritto che ho imparato la differenza tra lo stare soli e il saperci stare, e continuo ad esserne convinta. Anzi, aggiungo anche che il saper stare da soli non comporta necessariamente il VOLER stare sempre da soli. Bisogna imparare a stare prima con noi stessi, capire le nostre necessità, le nostre esigenze, per sapere poi cosa chiedere alle altre persone, nelle giuste dosi. Mi rendo conto che non tutti sono in grado di porsi in questo tipo di analisi, altrimenti non si spiegherebbero tutte le persone che conosco che, pur di non restare con sé stessi, si rifugiano in continuazione tra le braccia di volti passeggeri e futili, che il giorno dopo vorrebbero solo fuori dal letto.

Torniamo sempre al discorso delle giuste quantità: il troppo stroppia e troppa solitudine, o troppa poca, comporta sempre il non saperci gestire, mettendo in costante discussione noi stessi. Ci chiediamo se siamo felici, cosa possiamo fare per migliorare il tiro, perché le congiunzioni astrali non sono dalla nostra parte e perché cazzo proprio in questa settimana di reclusione scegliamo di metterci a dieta, predisponendo la dispensa di sole cose salutari.

Non avrei mai creduto di dirlo, ma la Milano frenetica, un po’ mi manca. Scene del genere sono abituata a vederle solo ad agosto, ma allora è un’altra storia. Di solito sono anche io in procinto di partire per le mie vacanze, e mi godo gli ultimi giorni di una città deserta. Oggi, a fine febbraio, la situazione è troppo strana. In casa e in strada, il silenzio fa rumore, più di quando tutti si attaccano al clacson appena scatta il verde. E questo fa male. Fa male a Milano, ma soprattutto a chi ci abita e ha imparato a stare da solo. Lasciateci decidere quando restare da soli e in quali modalità. Lasciate che torniamo tutti alla normalità, con le dovute precauzioni. Lasciateci programmare viaggi, non guardateci male se torniamo giù e siamo sani come un pesce, ché già da soli ci poniamo un sacco di problemi – certo, salvo quegli irresponsabili che sono scappati dalle zone di quarantena -.

Perché è vero, questo virus si diffonde con molta facilità, ma una delle malattie più diffuse al mondo, oltre all’ignoranza, è la solitudine.

PS: quando un giorno tutta questa psicosi e il virus saranno solo un ricordo, vado a farmi un giro a Codogno, sembra che ci sia una movida esagerata!

Jessica

Pubblicato in: èsololavita

Carissima me…

Vi è mai capitato di pensare a come eravate fino a poco tempo fa, o in un passato non ancora troppo remoto? A me succede spesso; mi ritrovo a guardarmi allo specchio, e non posso non notare quanto i miei capelli siano tremendamente cresciuti nell’arco di poco tempo; quel brufolo sul mento, segno evidente di uno sgarro a base di Nutella, che ha deciso di lasciar tracce nonostante tu, quatta quatta, abbia affondato il cucchiano nel barattolo lontana da occhi indiscreti.

A volte mi capita di pensare a come ero, non solo esteticamente, ma soprattutto caratterialmente, senza dover vedere troppo più in là del mio naso. Mi capita di pensare alla Pupetta ingenua, indifesa, che credeva ancora nelle favole. O meglio, alle favole credo ancora. Che possano trovare terreno fertile al giorno d’oggi, direi di no. Decisamente no, e questa è un’altra storia.

A volte è come se potessi sentirla, la me di un anno fa. È come se in maniera prepotente mi dicesse di non dimenticarmi di lei, che lei ha bisogno di me, perché è convinta che quel mondo ovattato nel quale ancora abita sia il posto a lei predestinato, e ha bisogno di tutta la forza possibile per crederci, perché lo sta facendo da sola. Altre volte ancora, forse, sono io ad aver bisogno di lei, per ricordarmi di non essere sempre pessimista e cinica, e che di tanto in tanto, con pazienza e perseveranza, le cose belle possono ancora succedere.

Non si è svegliata, la piccola Pupetta, non ha ancora aperto gli occhi perché non vuole farlo, e non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Pensa che, come i bambini che giocano a nascondino, si possa celare tutto semplicemente chiudendo gli occhi, o spazzando la polvere sotto al tappeto. Lei non lo sa ancora, ma quella polvere ha creato una piccola duna, e chi ci passa su inciampa palesemente, facendolo notare. Ma lei nega, nega spudoratamente. La dolce Pupetta non vuole ancora vedere quello che ha sotto gli occhi e non mi sento di biasimarla, ognuno reagisce come può di fronte alle difficoltà. Piccola bambina mia, quante ore di sonno hai dormito stanotte? Sei arrivata al minimo sindacale, ché la privazione di sonno è una cosa seria, mica tanto da riderci su. Domani ti aspetta una nuova giornata di lavoro, la sveglia suonerà lo stesso, se ne frega.

Lasci già che le lacrime concilino il tuo sonno e le tue notti? Ti penso, Pupetta, perché se potessi, verrei lì ad abbracciarti, solo abbracciarti: sei inconsolabile e più di questo non riesci a sopportare. Oggi ho le parole giuste che avresti dovuto dire, ti avrei indicato le persone giuste da cui correre senza girovagare troppo a vuoto elemosinando tempo, o cercando conforto tra coloro che non hanno mai capito nulla, che di fronte ai tuoi scleri ridevano delle parole che tu utilizzavi, senza percepire la rabbia che usciva da ogni fibra del tuo corpo, e anzi gettandoti addosso le loro banalità in momenti davvero poco opportuni.

Guardaci adesso, Pupetta, guarda come siamo diventate grandi, decisamente autonome e un po’ più egoiste… questo avresti dovuto impararlo prima. Ma ricordati di non esagerare mai, che Narciso ci ha rimesso le penne a bearsi solo di sé stesso. Voglio dirti una cosa che sentirai molto spesso, ma a cui non darai credito all’inizio: sei più forte di quanto tu riesca ad immaginare. E ce la farai. Le altre parole scacciale via dalle tue orecchie e dai tuoi pensieri come si fa con le mosche particolarmente fastidiose.

Quanto alla Pupetta del futuro, ti dico di preservare la solarità, anche quando fanno di tutto pur di abbatterti. Segui i consigli di chi sa meglio di te, o crede di farlo, e non diventare troppo cinica, perché la strada la stai spianando per bene e a lungo andare potresti non riconoscere più chi ti passa sotto il naso. Spero che in un futuro non troppo lontano smetterai di dire che non senti più nulla, che non sai se sarai in grado di provare emozioni al di fuori della protezione della pluriball! Ci siamo sempre sottovalutate in ogni circostanza, pensando che gli altri siano migliori in ogni cosa. Non potremmo mai cambiare un’idea così radicata, ma dovresti imparare a volerti più bene e ricordarti che le persone sanno solo vendersi. Peccato che per loro non è previsto il reso come un pacco Amazon.

Hai sempre diviso il mondo in due categorie: chi sposta un sassolino e deve urlarlo al mondo intero, e chi sposta macigni in silenzio, e ti piace riconoscerti in quest’ultima immagine. Ma di tanto in tanto, alza la testa e raccogli i tuoi meriti, perché a questo mondo non ci vuole niente che passi qualcuno e ti ruba il lavoro. Noi lo sappiamo, sì, ma a volte non bisogna dare troppe cose per scontato e occorre sottolineare le banalità.

Mi piace la tua, la nostra voglia di imparare sempre, di esplorare campi nuovi e avventurarci in ambiti a noi ancora sconosciuti. Chissà che questa smania non ci porti finalmente da qualche parte. Che facciamo, ci diamo appuntamento all’anno prossimo e vediamo come sono andate le cose?

Jessica