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Blu

Quest’anno, o per meglio dire, al calare del 2019, un team di esperti ha decretato che il colore adatto a rappresentare l’inizio di un nuovo decennio sarà il pantone blu. Anzi, classic blue.

Non un blu con qualche strana sfumatura, di quelle che impiastricci in lavatrice con un altro colore fin troppo vivace. Classico, un blu classico. Un rassicurante, familiare blu. Ho amato questa scelta dal momento in cui è stata annunciata la notizia, che mi ha lasciata anche interdetta al solo pensiero che ci sia effettivamente un team che al mattino impronta le riunioni sui colori. Voglio dire, sfioriamo ogni giorno la minaccia di un conflitto mondiale, un’intera nazione va in fiamme, la gente muore di fame, di solitudine, di miseria, di gelosia. Eppure, loro ogni anno pubblicano il loro bel statement e rendono noto al resto del mondo la loro decisione. ‘Quest’anno abbiamo deciso così. Stop. Arrangiatevi.’

Ricordo che l’anno scorso era il viola a farla da protagonista, e a me non solo non piacciono gli anni dispari (non me ne vogliate, non so nemmeno io il perché, anche io faccio fatica a capirmi a volte), per di più ci aggiungiamo un bel viola…V.I.O.L.A. Proprio quel colore, lo stesso che se lo vedono gli attori a teatro scappano, dietro il quale si cela una lista infinita di luoghi comuni bene o male fondati: il viola porta sfiga. Punto. E se proprio dovessi pensare a come mi è andato il 2019, allora sì, il viola porta DECISAMENTE sfortuna.

Ma quest’anno c’è il blu, che è già un’altra storia. Anche se, a ben guardare, in inglese esiste un’espressione molto frequente, ovvero feeling blue. Letteralmente, sentirsi blu: un’idea associata ad un disagio, ad un malessere, una sorta di melanconia dietro la quale però non è possibile ricercare le cause scatenanti. Un po’ il male del secolo, oserei dire: avere tutto, avere tanto, anche lo stretto necessario, ma non sentirsi mai soddisfatti. Ma questo stato, più che ad un colore, sarebbe da imputare solo a noi stessi, a questa smaniosa voglia di avere di più, perché non è mai abbastanza. Perché siamo così stupidi da credere che quella tipa su instagram mangi davvero tutto quello che ha nel piatto senza poi riversarlo sui fianchi. Crediamo davvero a quel tal dei tali che è andato in vacanza nel posto che fa tendenza e che abbia i soldi necessari per essere all’altezza delle foto che pubblica, quando in realtà non sa nemmeno campare (l’arte del saper campare, un’arte davvero per pochi eletti) offrendo un caffè all’amico.

Quindi mi piace pensare al classic blue un po’ come un ritorno alle origini… magari dipendesse tutto da un colore! Potrà non piacere come scelta per i capi di abbigliamento, come tinta stramba per i capelli, come smalto. Ma il blu è il colore fermo del mare, del cielo in una giornata tremendamente limpida, di quelle che, anche a gennaio in città, il sole riesce ad accarezzarti il volto.

Il blu è un colore rassicurante, simbolo della stabilità, della fedeltà, della saggezza, dell’intelligenza, delle cose autentiche, come autentico è il mare quando vai a cercare le risposte. Come quando in inverno la tua amica ti scrive che sta venendo a prenderti e che ti porta al mare, sugli scogli. E lo contempli, e ci chiacchieri, lo consulti, aspettando segni, e sogni. E lui se ne sta lì, con quel colore cristallino e bello, bello assai. Come non amare il blu allora?

Buon anno blu a tutti!

Jessica

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B-day!

Il mio compleanno coincide inevitabilmente con l’inizio di un nuovo calendario. Da brava capricornina meticolosa, per me ha perfettamente senso che il mio compleanno inauguri l’anno nuovo. Di solito carico il numero in più sulle mie spalle e sul mio calendario di infinite aspettative. Ma questa volta vorrei fermarmi un attimo a raccogliere alcune delle cose che ho imparato nell’anno dei miei 28. E quindi ecco un mini elenco che mi sento di condividere con voi.

Ho imparato a cucinare piatti nuovi.

Ho imparato otto accordi di chitarra, pian piano riuscirò a dare un senso anche al ritmo.

Ho imparato a cavarmela da sola.

Ho imparato a chiedere aiuto quando ne ho avuto bisogno, perché sempre da soli non si va molto lontano.

Ho imparato a ridurre l’uso dei social, perché condividere momenti nella vita reale è di gran lunga più prezioso del mostrarlo a tutti per ottenere spasmodici consensi.

Ho imparato a dormire completamente al buio e in un letto troppo grande.

Ho imparato a gestire le spese, ma su quello devo ancora lavorare un bel po’.

Ho imparato lo spirito di condivisione e di ospitalità, ma su quello sono napoletana, partivo con un minimo di vantaggio.

Ho imparato a scacciare gli insetti e a non fare scenate troppo melodrammatiche.

Ho imparato a contare fino a dieci, e in alcuni casi anche fino a venti. Non per tacere. Semplicemente, credo ci siano modi e modi per esprimere lo stesso concetto, e con un po’ di gentilezza in più si può ottenere un risultato migliore senza doversi necessariamente mangiare il fegato.

Ho imparato che l’autocritica è giusta, va bene. Ma non va bene accollarsi tutte le colpe.

Ho imparato a chiedere scusa, e che l’orgoglio non serve a nulla.

Ho imparato che il confronto non significa necessariamente dover litigare, sebbene non sia mai piacevole.

Ho imparato che l’inaspettato è molto più bello del pianificato, che a volte cambiare abitudini e strade ti porta ad esplorare le novità.

Ho imparato a pormi degli obiettivi, ricordandomi di non vivere però in virtù di questi, che le cose belle succedono quando andiamo a prenderci un caffè.

Ho imparato che, per quanto si guarisca, ogni tanto una ferita può tornare a far male. Ma poi passa. Di nuovo.

Ho imparato che al peggio non c’è mai fine.

Ho imparato a volermi bene, a non volere più le cose poiché costretta o per il compiacimento altrui. Forse ho guadagnato un paio di anni per questo.

Ho imparato a non guardarmi con gli occhi degli altri, e a non guardare gli altri. Se una cosa fa bene a me e non a questi fantomatici ‘altri’ che non sanno un cazzo, a cui ho mostrato solo la superficie e non l’iceberg nascosto, lo faccio e basta.

Ho imparato che stare soli è diverso dal saper stare soli, e la differenza non la fa solo il verbo, ma anche la predisposizione mentale.

Ho imparato che al mondo ci sono mille motivi per far ingrossare il fegato, ma ho scelto di restare in salute fregandomene un po’ in più.

Ho imparato che le soddisfazioni lavorative non devono necessariamente essere motivo di superbia o ripercussioni sulla propria vita. Il privato e il lavoro dovrebbero essere due concetti a sé stanti.

Ho imparato che la vita non va mai come vorresti, e che la maggior parte della vita stessa dipende da come decidiamo di affrontare le avversità.

Ho imparato a far mie tutte queste banalità apparenti. Perché le parole sono molto belle, ma la pratica, miei cari, è tutta un’altra cosa.

Entro nell’anno dei 29 con l’umiltà e la voglia di imparare ancora molto, di condividere e confrontarmi con le persone che ci saranno e vorranno esserci.

Buon compleanno a te, piccola grande Pupetta!

Jessica