Quando abbiamo smesso di distribuire pulviscoli di umanità al resto del mondo? Quando abbiamo iniziato a calare la testa e fingere che tutto ciò che ci circonda non è affar nostro?
Sono queste le domande che mi sono posta in un pomeriggio di ottobre, mentre le giornate si fanno sempre più brevi e dal treno osservavo le distese della pianura padana. Mi sono guardata in giro, nel vagone dove mi trovavo, ed erano veramente poche le persone intente a leggere un libro, addirittura un giornale. Il resto dei passeggeri aveva, come di consueto, la testa affondata nei cellulari. Mi sono chiesta ‘ma prima dell’avvento dei telefoni, come trascorreva il tempo, la gente?’. La prima risposta istintiva che mi viene è leggere un libro. Ma quella meno ovvia e più preziosa, per me è la seguente: la gente si parlava, attaccava bottone, avviava una conversazione col proprio vicino. Mi rendo conto che oggi queste abitudini stanno scemando sempre più, ma non posso fare a meno di domandarmi quanto male ci stia facendo questo strumento nei rapporti interpersonali. Certo, non avevo bisogno di un viaggio in treno per rendermene conto: basta osservare i pendolari, che quotidianamente viaggiano in tram, autobus, metro. Il nuovo upgrade prevede l’impiego degli smartphone per guardare le serie tv, totalmente isolati da tutto.
Spesso, troppo spesso, ci dimentichiamo di osservare il mondo che ci circonda, tutte le vite che ci passano accanto. Preferiamo conoscere gente sui social piuttosto che avviare una conversazione spassionata con qualcuno che ci sorride. Oppure, caso inverso, se conosciamo qualcuno di persona, lo/la cerchiamo sui social per scavare nei dettagli, invece di scoprirli di persona in un bar. Non ne sono esente, mio malgrado, ma non posso fare a meno di chiedermi dove sia finita tutta l’umanità, quel minimo di fiducia nel prossimo. Qualsiasi gesto, anche quello in apparenza più disinteressato possibile, nasconde in realtà un proprio tornaconto. Non credo che in passato non ci fossero manifestazioni di tali atteggiamenti, ma sono convinta che si presentassero in misura ridotta.
Ogni volta che sento racconti di persone più “grandi”, c’è sempre un citofono a farla da sfondo, oppure una chiamata breve semplicemente per accordarsi per un caffè. Se penso ad oggi, invece, ci sono le spunte blu di Whatsapp, il visualizzato senza risposta, l’attesa di almeno 30 minuti prima di rispondere ad un messaggio altrimenti siamo sfigati. Sì, siamo sfigati. Ma i motivi sono ben altri. Siamo sfigati perché abbiamo dimenticato come ci si relaziona con la gente; sfigati perché prenotiamo un ristorante con le app piuttosto che perdere due minuti al telefono; sfigati perché ora anche le ordinazioni sono ‘smart’, e il cameriere non ti consiglia più il piatto del giorno. Stiamo assorbendo per osmosi questa ondata interminabile di tecnologie, indubbiamente belle, ma a quale prezzo?
Il prezzo, a parer mio, è la spersonalizzazione, è indossare quel dato maglione perché lo aveva su la tipa famosa su instagram, è fare delle stupide challenge solo perché va di moda, è scoprirsi sempre più in una foto, altrimenti non si raggiungono i like auspicati per diventare promotori di bevande ritenute miracolose. Nel frattempo, magari, la mamma avrebbe bisogno di un aiuto, o semplicemente avrebbe il piacere di trascorrere del tempo col proprio figlio.
Prima di fotografarlo, avete visto un tramonto per davvero? Ci fate caso che quelle sfumature catturate ad occhio nudo nulla possono con i pixel della vostra fotocamera? Quante volte poi avete modificato la foto di un paesaggio perché non rendeva come dal vivo? Avete mai visto un tramonto, veramente? Perché se la risposta è sì, tutti i like del mondo non valgono la candela.
Per questo, e molti altri motivi, mi piace definirmi ‘vintage‘, perché credo fortemente in valori che purtroppo si stanno perdendo sempre più. Vedo i ragazzini di oggi e un po’ mi spaventano: so che potrebbero mettermi nel sacco da un momento all’altro. Sebbene non abbia tutta questa differenza di età rispetto a loro, ne percepisco fortemente il distacco, la perdita di tutti i valori che un tempo erano assolutamente necessari. Ci ritroviamo circondati da un esercito di esaltati lobotomizzati incapaci di sviluppare discorsi di senso compiuto, fatti tutti con lo stampino, come dei diligenti prodotti di fabbrica. Mi rendo conto che invece, in un passato nemmeno troppo remoto, si viveva con decisamente meno e i nostri genitori erano nondimeno felici, anche senza i social, ma vi rendete conto quei pazzi? Chissà come avranno fatto a sopravvivere…
Chissà come faremo noi, a sopravvivere, se la necessità è quella di compiacere gli altri e mai sé stessi, dimenticandoci sempre più che avremmo tutti bisogno di un po’ di gentilezza in più. Questo sarebbe il prezzo, ma ne vale la pena?
Jessica