Pubblicato in: èsololavita

There’s no place like home

Voi avete una casa? Dopo la consueta giornata di lavoro, dopo esservi fermati a fare due chiacchiere con amici e colleghi, tornate a casa?

Non fraintendetemi, per fortuna, e sottolineo per fortuna, tutte le persone che conosco hanno un tetto sulla testa, più o meno grande, con un letto alla francese o almeno un divano multiuso, un frigorifero e un congelatore discretamente pieni. Una doccia, i più fortunati una vasca. Insomma non ci si può lamentare.

Dorothy batteva i tacchi delle sue scarpette rosse e diceva ‘There’s no place like home’ e magicamente si ritrovava a casa. Se avessi questo dono, cambierei casa ogni volta. Rotolerei verso sud, abbraccerei più spesso quei volti che mi mancano tanto e farei dei luoghi non ancora visitati la mia casa per brevi periodi. Andrei a vedere il mare. Quella è la mia casa più bella.

Quello a cui mi riferisco io però, è il concetto di casa in senso lato. E’ quella sensazione di ritrovarsi nel posto giusto al momento giusto, quel luogo dove gettare tutto alle spalle e tirare un sospiro di sollievo. E’ lanciare le scarpe e infilare maglie comode perché arriva il momento di essere semplicemente sé stessi, senza filtri e senza maschere. E’ dove ballate e cantate, dove mangiate schifezze e imprecate contro la tv quando succede qualcosa di brutto. Casa può essere anche una persona, ma non è cosa da tutti. Sì, perché il concetto di casa può abbracciare diversi ambiti, può toccare diversi aspetti del nostro carattere, ma anche della nostra formazione in quanto esseri umani.

Mi sono sempre reputata fortunata per quanto riguarda la mia idea di casa. Ero giù a Napoli a casa dei miei, mi sono trasferita a Milano e non ero sola, avevo una casa in quanto tetto sulla testa e in quanto persona che mi faceva sentire a casa, rendendo meno traumatico il distacco dai miei affetti.

E poi, c’è stato il periodo in cui avevo sì un contratto di affitto, ma quella non era più casa mia. Era una dimora con un fantasma che non trovava pace per andare oltre, che la mattina non vedeva l’ora di scappare via e la sera faceva di tutto per ritardare il rientro. Casa può essere una benedizione, ma anche una condanna.

Pian piano, ho trovato la mia nuova casa, il mio nuovo posto nel mondo. Materialmente non è cambiato un granché. Ma è cambiato tutto proprio qui, nella mia testa. E’ cambiato il modo di affrontare la casa, di individuare le persone che ti fanno sentire a casa, e per qualcuno, spero di essere casa tanto quanto loro lo sono per me. Ora mi prendo in giro da sola, mi ripeto la scena di Selena, Catwoman, quando rientra a casa da sola e dice ‘Tesoro sono a casa! Ah, dimenticavo, non sono sposata…’

Catwoman Honey Im Home GIF - Catwoman HoneyImHome Batman GIFs

No, non sto dicendo che finirò gattara perché i gatti proprio non mi fanno impazzire, ma è giusto sapersi prendere non troppo sul serio, c’è già troppa pesantezza in giro.

Ora quella casa è di nuovo mia, la sento mia e mia soltanto. Mi piace far sentire a proprio agio chi si ferma da me ed estendere a loro la mia tranquillità ritrovata.

Sono padrona della mia casa. E sono padrona di me. Sono a casa.

Jessica

Pubblicato in: Terra mia

Morto o’ rre, viva o’ rre!

Avevo preparato un altro post per questa settimana. Ma il suo epilogo non è stato come gli altri. Nonostante questa prima metà di luglio ci abbia regalato delle temperature ragionevoli prima del grande caldo, è il mio cuore a ribollire di dolore. Mercoledì 17 e giovedì 18 luglio sono venute a mancare due figure a mio parere importantissime della scena letteraria italiana: Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo.

Martedì, nemmeno a farlo apposta, ho deciso di fare un giro in libreria per prendere spunto su prossime letture da fare. Mi era rimbalzata agli occhi proprio una sezione dedicata a Camilleri, pensando alle sue condizioni di salute. E poi, mercoledì mattina, apprendo la notizia della sua scomparsa. Ho letto tante cose sul suo conto, ma mai un suo libro. Rimedierò. Ho letto anche tutti gli insulti e i commenti inutili di persone talmente limitate che non si fermano nemmeno davanti alla morte, anzi celebrando la stessa come ‘un pidiota in meno’. Non so se ci sarà mai pace per loro.

E poi, la vera stangata, quella che più mi ha colpito per questioni di campanilismo puro. Luciano De Crescenzo, il signor filosofo-ingegnere. Qualsiasi cosa abbia letto o visto di suo pugno, ha sempre accompagnato la risata alla riflessione. Lui ha sempre incarnato il prototipo del perfetto napoletano ai miei occhi, una persona profondamente legata alla propria terra, avido di conoscerne tutti i segreti, ma allo stesso amareggiato per quella fetta di popolazione incapace di apprezzarla.

Ho notato che, da quando vivo a Milano, ho sviluppato una forma di nostalgia che mi ha portato ad amare sempre di più la mia città, talvolta anche a ricercare segni di Napoli in qualche angolo di Milano e credetemi, non ho fatto fatica. Ogni volta che sento una canzone napoletana, qualcuno al telefono con la mamma che parla in dialetto, mi scappa sempre un sorriso. Ancor di più se sono in compagnia di un mio conterraneo, e ce capimm a sische.

Niente frasi fatte. Niente citazioni. Solo tanto dolore nei confronti della letteratura italiana, nei confronti di un analfabetismo di sentimenti incalzante e una sintesi aspra del cuore, ma non posso esimermi dal non riportare una delle frasi, a mio parere, più belle del pensiero di De Crescenzo: “A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana.” (Così parlò Bellavista)

Mi immagino una conversazione, che per il momento non avremo il piacere di conoscere ma che non sarebbe tanto inverosimile:

Camilleri: Lucià, c’è troppa ignoranza e cattiveria in giro. Stanco sono. Sai che ti dico? Quasi quasi me ne vado…

De Crescenzo: Andrè, ma lo sai che tieni proprio raggion? Sai che c’è di nuovo? Mo’ veng pur io

Esimio prufessore, vi prometto di comprare tutti i libri che ho segnato nella lista desideri Amazon. Che vi devo di‘, mi fate sentire a casa quando vi leggo.

‘Professó permettete? Un pensiero poetico’: Grazie assaje.

Jessica

Pubblicato in: èsololavita

Attimi di dimenticanza…

Avete presente quella frase: ‘quando siete felici, fateci caso‘? Ecco, ci fate caso quando lo siete per davvero? Ve ne rendete conto in quel preciso momento? O venite colti dalla nostalgia quando ormai si tratta solo di un ricordo lontano? Personalmente, la felicità mi spaventa e cerco sempre di tenerla per me, come quelle cose preziose da custodire gelosamente. Sì, spesso e volentieri ci faccio caso in quel preciso istante, ma la vita dà e toglie troppe volte per poterla sbandierare ai quattro venti. Mi sono anche ritrovata a dire spesso che la felicità altrui disturba, e credo sia vero. Non voglio giocarmi la carta della superstiziosa, ma del resto, sono napoletana, che volete farci.

Spesso mi rendo conto di quanto la ‘napoletanità‘ abbia inficiato sul mio modo di essere, ma soprattutto di agire e di cercare di sdrammatizzare situazioni dove proprio no, non ci sarebbe nulla da ridere. Anche io, come molti miei conterranei, porto dentro quella patina di malinconia per situazioni anche banali. Basta una nota familiare, un tramonto vista mare ed ecco che si riversano i soliti ‘pensieri assaje‘. Che volete farci, sarà l’età che avanza. Anzi no. Chiamiamola saggezza e consapevolezza.

Da buona partenopea, sono cresciuta a pane e Totò, Troisi, De Filippo. Sono in grado di associare ogni situazione o stato d’animo ad una canzone (preferibilmente se di Pino Daniele) o ad uno dei mille modi di dire, che con due semplici parole racchiudono il senso ampio di pensieri fin troppo articolati. Questi personaggi scorrono nelle nostre vene, un po’ come se fossero di famiglia, perché proprio come le famiglie, imprimono un segno indelebile nel tuo modo di essere.

Tornando alla nostra felicità, è a Totò che penso ultimamente, in particolare ad un’intervista che ha rilasciato giusto qualche tempo fa…

Siamo nel 1963, di lì a quattro anni, di Totò sarebbe rimasta la sua eredità, portandosi via la sua classe nell’esprimere concetti semplici, talmente semplici da risultare complessi. Si trova con Oriana Fallaci, sta per rilasciare un’intervista per L’Europeo, e dichiara quanto segue:

Signorina mia, ciascuno ha da portare una croce e la felicità, creda a me, non esiste. L’ho scritto anche in una poesia: «Felicità: vurria sapé che d’è / chesta parola. Vurria sapé che vvo’ significà». Forse vi sono momentini minuscolini di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza.”

Tempo fa, questa frase mi disturbava e non poco. Non la capivo, non la accettavo. Com’è possibile che proprio lui, proprio il principe della risata, possa dire una cosa tanto triste? Eppure, col tempo l’ho capito. La felicità si trova in una di quelle scatole dove all’esterno trovate scritto ‘fragile, maneggiare con cura’. In quegli istanti, spostiamo il velo della malinconia per far spazio a colori più vivi, ne preserviamo il ricordo per poi riporlo nel nostro cassetto segreto. Però sì, Totò ha ragione. La felicità va dosata, semplicemente per essere in grado di riconoscerla, viverla, apprezzarla come merita.

Maneggiatela con cura, la felicità. Non importa a nessuno se siate felici o meno, importa come vi sentite voi, che tesoro ne fate e come avete intenzione di gestirla. Quando siete felici, fateci caso.

Jessica