Non molto tempo fa, c’era una Pupetta incapace di dormire la notte, indecisa ogni volta se assumere la melatonina per conciliare il sonno, o quanto meno per aspettare il dolce abbraccio di Morfeo. Ma niente. Proprio non ce la faceva. Per quanto si sforzasse di scacciare i brutti pensieri come si fa come una mosca, è al buio che si rifanno vivi tutti i tormenti.
Non credo siano mai esistiti i mostri nell’armadio o sotto al letto. Credo piuttosto che un pensiero tanto potente, bello o brutto che sia, si possa materializzare e assumere forme concrete, perchè siamo noi a conferire loro forma. E’ stato in uno di questi momenti che ho ripreso a scrivere. Del resto, le canzoni migliori, la prosa, la poesia, non sono frutto di uno struggimento d’amore, di un momento di infelicità?
17 aprile
Ho preso a contare.
Conto i passi che faccio, i respiri lunghi di cui ho bisogno prima di addormentarmi. Quante sigarette fumo prima di mettermi a letto. Conto i giorni che sono passati, quanti sorsi di acqua faccio… conto il tempo che rubo a me per pensarti, perchè io non ho dimenticato.
Non ho dimenticato tutte le volte che il fiato me lo hai tolto tu, il numero di sorrisi che mi hai regalato, il numero di voli presi mano nella mano, o le foto che mi facevi quando non te lo chiedevo (poche, lo ammetto, ma erano speciali anche quelle).
Ricordo che una delle ultime foto che mi hai fatto, eravamo in viaggio verso casa, le mani intrecciate, per festeggiare la tua, la nostra adorata nonnina. Non troppo tempo fa.
Adesso conto quante colazioni a letto abbiamo perso, quante birre bevute insieme non ci sono più, quante volte non dormo accanto a te e quanti baci stiamo perdendo. Conto quanti sabati sono passati da quando non mi sono affacciata più per mandarti un bacio prima che andassi a lavoro e quanti film abbiamo perso abbracciati sul divano. Conto tutte le notizie che non posso più condividere con te, e che non vuoi più condividere con me.
Conto tutto questo, fino al giorno in cui non lo farò più, fino al giorno in cui perderò il conto.
Tu sei già andato via, io vivo ancora in questa bolla. Ti sei dimenticato di me.
Questo inciso riportato risale a due mesi fa, quando dicevo di vivere in una bolla. Quando vedevo la vita passarmi accanto senza nemmeno accorgermene. Indirizzavo i miei pensieri e le mie parole ad una persona di cui ricordo la schiena che andava via quando ha chiuso la porta di casa, senza una possibilità di ritorno.
In quel momento, in momenti del genere, le notti passano indistinte, abbracciati ad un cuscino senza più un proprietario, accoccolati sotto le lenzuola con i piedi freddi, perchè non ci sono più i suoi bollenti a darti calore. E quindi si prende a contare. Prima le pecore, che quella staccionata proprio non la vogliono saltare; poi quante ore mancano prima di andare a lavoro e vedere gente; fai i conti, con te stessa, col passato e soprattutto con quello che verrà poi. Ad un certo punto, però, la conta si interrompe. Non saprei dire di preciso quando sia successo, ma una serie di fattori esterni e non hanno sicuramente contribuito.
Il cuscino è servito alle mie amiche che si sono fermate a passare una serata con me. Ho messo i calzini doppi quando sentivo freddo, le pecore sono state sostituite da una lettura prima di dormire, o da una serie tv interrotta a metà dal sonno. La sveglia suona, e in alcuni casi corro il rischio di riaddormentarmi. Tutto questo per dire che ci si abitua, a tutto. Veramente. Purtroppo. O per fortuna?
Oggi ho smesso di contare.
Jessica
